Firenze, 4 marzo 2018 – Non so da dove iniziare. So che ho la necessità di scrivere e di farlo nel muro dove mi condividono amici veri. Io Davide non lo conoscevo, mi ha unito a lui un pomeriggio durante il quale abbiamo girato intorno ad un tavolo di Subbuteo insieme. Con il suo sorriso mi chiese come facevamo ad alzare la palla con quei “soldatini” di plastica. “Ad ognuno il suo Davide…”.
Sono convinto che il dolore trascenda dal conoscere una persona. Il dolore è una sfera intima, figlio di un vissuto che solo tu puoi pesare. Non può essere soggetto al giudizio. Mi capita molte volte di rimanere spiazzato di fronte ad alcune reazioni che mi vengono spontanee. Ma poi le guardo e ci faccio pace perchè le riconosco mie. Le lacrime che mi sono scese in questi giorni e che non riesco ancora a fermare le ho rinosciute una ad una. Mi rendo conto che in questi momenti, dove il dolore livella il raziocinio, sono come un guerriero senza spada, con lo scudo abbassato, e vengo sconfitto dal cinismo di alcuni che non trovano di meglio che parlare di spettacolarizzazione della morte, del “sai quanti bambini muoiono tutti i giorni nel mondo”, per i quali il lutto cittadino ha vestito Firenze di provincialità. Voglio sprecare pochissime parole per loro, le voglio tenere per scrivere quanta gratitudine ho per te, Capitano, perchè nell’immane tragedia hai fatto vedere al mondo quanto forte, sincera, tenera e vera può essere la natura dell’essere umano. Il Cardinal Betori nella sua omelia ha detto che ti sei compromesso con noi, incrociando le nostre vite e le nostre storie. E’ proprio così, l’ho visto negli occhi dei miei figli, nelle voci spezzate di chi mi parlava, l’ho sentito nel respiro di quella folla immensa che per più di un’ora ha condiviso con me la coda per entrare in quel maledetto palazzetto per darti l’ultimo saluto. Non voglio neanche accennare al massacro emotivo della tua famiglia perchè non credo di aver la capacità, nemmeno lontanamente, di immaginare cosa possa essere. Ma quel saluto di tua mamma ad una Piazza Santa Croce gremita di viola me lo porterò con me gelosamente.
In un mondo intriso di sciocchezze, di frivole apparenze, di valori calpestati o ancora peggio ignorati, ci hai presentato un conto salatissimo. Hai vissuto in quel mondo da Signore, un esempio per tutti, mai una parola sopra le righe o un tono “stonato”. Tutto questo con il sorriso, sempre. Quel sorriso che non ti abbandonava mai. Ce ne accorgiamo adesso, che non potremo più vederlo. Adesso ci accorgiamo di cosa ha significato il tuo essere Davide Astori. Pagheremo volentieri questo conto salato e potremo solo ringraziarti.
Voglio chiudere questo mio pensiero riprendendo quello che Gianni Brera scrisse alla morte di Meazza perchè quando l’ho letto ho fatto quello che sto facendo da domenica. Piangere.
“Avendo io a lungo delirato per lui, mi dico oggi che gli eroi quelli veri, andrebbero per tempo rapiti in cielo, così come usava una volta, che non debbano restare fra noi a morire accorati e offesi della loro ingiustissima sorte.”
Che ti sia lieve il cielo Capitano.